Intervista al dott. Tommaso Acquaviva: “Forame piccolo Paura grande”

La recente notizia che un noto e bravo calciatore è stato colto da un disturbo del circolo cerebrale la cui origine è stata messa in relazione con un’alterazione anatomica cardiaca, descritta come pervietà del forame ovale, continua a suscitare apprensione e timori nei genitori che avviano i propri figli ad attività sportive e a quanti praticano in generale attività fisica a tutti i livelli, da quello agonistico, a quello ludico e amatoriale.
L’opinione pubblica si chiede com’è possibile che un calciatore professionista presso importanti club italiani, convocato ed ormai titolare nella Nazionale, con esperienze di campionati europei, possa essere portatore di una “malformazione”, come descritto dai media, il cui trattamento è consistito in un atto operatorio. Per migliorare i nostri livelli di conoscenza e saper dare le giuste risposte agli utenti che si rivolgano ai nostri ambulatori di cardiologia e medicina dello sport chiediamo al Dott. Tommaso Acquaviva, responsabile laboratorio di Ecocardiografia di III livello e dell’Unità di Cardiopatie Congenite Adulti, presso U.O. di Cardiochirurgia (D.E.T.O.) dell’Università di Bari, di rispondere alle nostre domande:

Dott. Acquaviva, considerata la Sua grande esperienza nello studio delle cardiopatie congenite e dell’ecocardiografia intracardiaca (ICE) vuole descrivere la “malformazione” riscontrata al giocatore Antonio Cassano.

“Trattasi del forame ovale pervio (PFO) che non è certo da considerare una malformazione. Il forame ovale (PFO) è una struttura anatomica che fa parte della normale anatomia cardiaca. La sua pervietà è condizione indispensabile per la vita del feto. Infatti il sangue ossigenato, proveniente dalla placenta e trasportato dalla vena ombelicale alla vena cava inferiore e all’atrio destro, raggiunge la circolazione sistemica proprio attraverso il forame ovale da destra a sinistra. In particolare, il sangue della vena cava inferiore è indirizzato verso il forame ovale dalla valvola di Eustacchio ed il septum primum funziona come una valvola unidirezionale che si apre da destra verso sinistra. Dopo la nascita, il brusco calo delle resistenze vascolari polmonari, conseguente all’inizio della ventilazione polmonare, incrementa il ritorno di sangue all’atrio sinistro, aumentandone la pressione. L’aumento della pressione atriale sinistra determina l’apposizione del septum primum al septum secundum con chiusura “funzionale” del forame ovale; nella maggioranza della popolazione si verifica successivamente una fusione anatomica dei due setti, che comporta la chiusura definitiva del PFO”.

La fusione avviene solo alla nascita?
“La fusione avviene entro i due anni di vita in circa il 75 % della popolazione, mentre nel 25 % dei casi i due
setti non si fondono e il forame ovale rimane pervio. Poiché in condizioni normali la pressione atriale sinistra è superiore rispetto a quella dell’atrio destro, il forame ovale può permettere un minimo shunt sn/dx identificabile all’ecocardiografia transesofagea, ma generalmente non all’esame trans-toracico. Qualsiasi condizione in grado di aumentare anche transitoriamente la pressione atriale destra ( manovra di Valsalva: es. tosse, esercizi ginnici), in  presenza di PFO, può riaprire la valvola (septum primum) verso sinistra e determinare una inversione dello shunt da sn/dx a dx/sn”.

Qual è l’incidenza nella popolazione adulta?
“Il PFO è un reperto comune nella popolazione adulta. Studi autoptici ne hanno attestato la prevalenza tra il 17-29% e la sua prevalenza diminuisce con l’aumentare dell’età a prova del fatto che la sua chiusura anatomica, che normalmente avviene a ridosso della nascita, può avvenire anche in tempi diversi, per tutta la vita. Gli studi condotti con ecocardiografia hanno mostrato dati di prevalenza inferiori, verosimilmente legati alla scarsa  sensibilità della metodica, dal momento che invece lo studio SPAC, utilizzando ETE con mezzo di contrasto (soluzione salina agitata) ha trovato un valore del 25% sovrapponibile a quello degli studi autoptici”.

Esistono delle variabilità riscontrabili anche con le tecniche ecocardiografiche?
“La morfologia del setto interatriale e del forame ovale mostra una notevole variabilità da caso a caso, sia dal punto di vista anatomopatologico sia alla valutazione ecocardiografica. Alcuni aspetti possono avere maggiore  rilevanza dal punto di vista clinico e/o tecnico, in relazione ad una possibile procedura di chiusura transcatetere e andrebbero quindi accuratamente studiati nel singolo paziente mediante ETE:
A) Ampiezza del tunnel: separazione esistente fra septum primum e secundum (se > 4 mm il forame ovale è ampio);
B) Lunghezza del tunnel: se > 10 mm è considerato lungo e può ostacolare il corretto posizionamento di alcuni device per la chiusura percutanea;
C) Aneurisma del setto interatriale ( ASA): è una porzione del septum primum in genere particolarmente assottigliata e mobile con possibilità di protrusione in atrio sinistro o destro o in entrambi gli atri alternativamente.  L’ASA è presente nel 2,2 % nella popolazione generale e nel 7,9 % di pazienti studiati dopo evento ischemico cerebrale. Un ASA è frequentemente associato ad un PFO ed in particolare ad un PFO con tunnel ampio e shunt dx/sn importante;
D) Fenestrazioni accessorie: piccole comunicazioni interatriali nel contesto del septum primum. Possono essere singole o multiple fino al quadro di ASA multi fenestrato spesso associate a PFO. Se non identificate  correttamente possono essere causa di significativo shunt dx/sn residuo dopo chiusura del PFO”.

Un forame così piccolo che tuttavia può essere causa di eventi avversi con esiti invalidanti.
“Il PFO riveste un grande interesse nell’ambito della neurologia, in quanto possibile causa di stroke ischemico, in particolare per quanto riguarda i casi in età giovanile, attraverso il fenomeno dell’embolizzazione paradossa. Ad oggi, al termine di un iter  diagnostico approfondito, l’origine dello stroke ischemico risulta indeterminata (ictus ciptogenetico) nel 40% dei casi, valutati secondo la classificazione eziologica convenzionale e questa quota risulta ancora essere maggiore se si considerano i casi di ictus dell’età giovanile”.
Dobbiamo pensare sempre al PFO in caso di eventi ischemici cerebrali?
“Nei soggetti con storia di ictus ischemico, la prevalenza del PFO sembra attenersi sul 40-45%, raggiungendo il 47-77 % se si prendono in considerazione soltanto gli ictus ad eziologia criptogenetica. Tra i pazienti con ictus
ischemico ed età < 55 anni, circa il 30-40% dei casi è classificato come criptogenetico, non essendo possibile individuare con ragionevole certezza un’altra causa”.

In assenza di complicanze i soggetti portatori di PFO sono asintomatici, l’obiettività è negativa come pure l’elettrocardiogramma. Anche l’ecocardiogramma presenta dei limiti. Come si arriva alla diagnosi?
“Sia ecocardiografia trans-toracica (TTE) con doppia armonica che l’ecocardiografia trans esofagea (TEE) con soluzione salina agitata come mezzo di contrasto sono metodiche diffusamente utilizzate per la rivelazione della presenza di PFO. Il TEE con mdc è considerato il “gold standard” per la diagnosi di PFO perché permette un’ottima visualizzazione del setto interatriale. Il Doppler trans-cranico (DTC) con mdc è un mezzo ugualmente molto sensibile per individuare uno shunt dx-sx soprattutto se associato a manovre di provocazione quale quella di Valsalva; tale metodica però non distingue tra fonti di shunt intra o extracardiaca e non permette di evidenziare l’eventuale associazione con aneurisma del setto interatriale. L’esecuzione del DTC si avvale dell’insonorizazzione tramite sonda doppler dell’arteria cerebrale media; in seguito ad infusione endovenosa di soluzione salina agitata è possibile visualizzare in presenza di PFO, il passaggio di microbolle nell’arteria insonorizzata. Il numero di micro bolle contate dall’operatore fornisce un’indicazione indiretta dell’entità dello shunt. L’indicazione dovrebbe essere quella di riservare il TEE ai pazienti positivi al DTC con lo scopo di determinare le caratteristiche anatomiche del PFO e l’eventuale presenza di aneurisma associato”.

Dal PFO dobbiamo aspettarci solo ictus?
“La pervietà del forame ovale è stata riscontrata in associazione con diverse condizioni cliniche oltre agli eventi ischemici cerebrali o sistemici criptogenetici, tipo la malattia da decompressione del subacqueo, la sindrome platipnea-ortodeoxia e l’emicrania con aurea. Da anni è descritta un’associazione tra PFO ed eventi ischemici cerebrali soprattutto in pazienti di età < 55 anni; i possibili meccanismi fisiopatologici proposti di un possibile rapporto causa-effetto sono tre:
1) Embolia paradossa: è attualmente l’ipotesi più accreditata e prevede che materiale trombotico, proveniente da una trombosi venosa profonda, possa raggiungere la circolazione sistemica attraversando il PFO da dx a sn. La plausibilità biologica di questo meccanismo è sostenuta da alcune condizioni cliniche nelle quali l’embolia paradossa attraverso il PFO appare come l’unica possibilità di spiegare l’insorgenza di eventi trombo-embolici nei voli aerei di lunga durata (economy class stroke syndrome), l’embolia polmonare, nonché il maggior rischio di eventi ischemici cerebrali in portatori di elettrocateteri endocavitari;
2) Trombosi in situ: prevede la formazione del trombo direttamente all’interno del PFO, soprattutto in presenza di tunnel lungo e flusso rallentato nel suo interno;
3) Fibrillazione atriale silente:un unico studio, al momento, ha evidenziato in pazienti con anomalie del SI una maggiore facilità di induzione di fibrillazione atriale”.

Quanto è successo ad Antonio Cassano è ammissibile alla luce dei frequenti e sofisticati controlli ai cui gli atleti professionisti si sottopongono?
“La pervietà del forame ovale è dunque una condizione anatomica molto comune nella popolazione generale. Sicuramente altri atleti sono portatori di PFO. Solo una minoranza di soggetti portatori di PFO sviluppa un quadro clinico potenzialmente riconducibile alla presenza di PFO. In tali casi la pervietà del forame ovale non sembra giocare un ruolo di primum movens, ma piuttosto di concausa nella genesi dell’evento clinico. Il rischio di  sviluppare nel corso della vita una sindrome clinico-PFO relata sembrerebbe poter essere influenzato dalle diverse caratteristiche anatomiche del PFO in ogni singolo caso. In particolare, due studi di popolazione comprendenti un numero significativo di soggetti, hanno concordemente evidenziato che, nella popolazione generale asintomatica per stroke, la pervietà del forame ovale, isolata o associato ad aneurisma del setto interatriale, non aumenta il rischio di sviluppare eventi ischemici cerebrali perlomeno ad un follow up di 6-7 anni. E’ quindi solo in pazienti con storia di eventi clinici potenzialmente PFO correlati che la valutazione anatomo-funzionale accurata del PFO con ETE appare auspicabile, qualora si decidesse la chiusura del PFO. Gli atleti in Italia sono soggetti a continui controlli. In assenza di sintomi, con obiettività negativa, elettrocardiogramma ed ecocardiografia non dedicata la diagnosi è impossibile. Non si può pensare all’esecuzione di ETE a tutto il mondo dello sport”.

Lei ha parlato di pervietà del forame ovale. Tale alterazione è da considerare una cardiopatia?
“Certamente no”.

Come si tratta
“La chiusura del PFO mediante chirurgia è stata soppiantata dalla tecnica percutanea, meno invasiva, meno costosa ed associata ad un numero inferiore di complicanze. Il posizionamento del device di chiusura è generalmente ben tollerato, con incidenza di complicanze < al 10%. Attualmente nel nostro centro il paziente è vigile, lievemente sedato, applicata solo anestesia locale nella zona inguinale di puntura dove vengono inserite la sonda dell’ICE e il catetere per il posizionamento del device. L’intervento, in relazione all’anatomia settale, può durare da pochi minuti fino ad un’ora circa. Il device che impiantiamo è in relazione alla caratteristica anatomica del PFO ed in genere è quello che ha un minor impatto strutturale. Dopo l’impianto il paziente esegue per un mese una doppia antiaggregazione (ASA+ Clopidogrel) per poi assumere solo ASA per altri sei mesi e poi sospendere qualsiasi terapia antiaggregante. Nella nostra casistica di circa 150 pazienti, nel follow up di cinque anni non abbiamo avuto nessuna recidiva ischemica cerebrale e ai controlli TC encefalo, le lesioni ischemiche pre-esistenti si sono mantenute invariate”.

Tutti i portatori di PFO devono sottoporsi ad intervento ed applicare device?
“Solo se sussiste associazione con diverse condizioni cliniche fra le quali eventi ischemici cerebrali o sistemici criptogenetici, embolie paradosse”.

Il riscontro occasionale in un giovane asintomatico controindica l’attività sportiva?
“Il riscontro occasionale di PFO anche negli atleti, non deve pregiudicare l’idoneità dell’atleta, soprattutto se non ci sono forme cliniche PFO relate. L’attività sportiva potrà essere concessa dopo l’esecuzione di ecg da sforzo al cicloergometro e monitoraggio elettrocardiografico per 24 ore, meglio coincidente con una seduta di allenamento”.

Se il PFO non è identificato con l’esame ecocardiografico tradizionale il cardiologo e il medico dello sport possono cadere nella trappola della “malpractice”?
“Assolutamente no perché trattasi di diversità anatomica ad alta incidenza nella popolazione. Bisogna cercarla e saperla riconoscere. Un’ecografia standard, senza seconda armonica, non è mai sufficiente, né si può pensare di fare ecocontrasto o transesofageo a tutti coloro che si sottopongono a visita di idoneità sportiva. Nei rari casi di riscontro occasionale il messaggio da dare agli atleti ed ai lori genitori, se minorenni, deve essere di assoluta tranquillità. Credo che il non concedere l’idoneità, al contrario creerebbe non pochi problemi di natura psicologica specie nel bambino. L’unica controindicazione, anche negli asintomatici, sono le attività subacquee per il rischio di embolia paradossa”.

E’ possibile la ripresa dell’attività sportiva dopo l’impianto e se si dopo quanto tempo?
“Tra i nostri pazienti abbiamo una piccola rappresentanza di atleti di varie categorie sportive sia a livello non agonistiche che agonistiche”. Tali pazienti possono riprendere la loro normale attività sportiva dopo aver eseguito a distanza di sei mesi (tempo necessario per l’endotelizzazione del device) DTC (negativa), Prova da sforzo (assenza di aritmie ed ischemia); Ecg dinamico delle 24 ore sec. Holter (assenza di aritmie ipercinetiche ed ipocinetiche). I successivi controlli cardiologici sono annuali. “

Che messaggio si sente di trasmettere ai genitori che indirizzano i loro figli alle attività sportive di qualsiasi tipo?
“Nei rari casi di riscontro occasionale il messaggio da dare agli atleti ed ai lori genitori, se minorenni, deve essere di assoluta tranquillità. Credo che il non concedere l’idoneità, al contrario creerebbe non pochi problemi di natura psicologica specie nel bambino. L’unica controindicazione, anche negli asintomatici, sono le attività subacquee per il rischio di embolia paradossa. Nessuno ci vieta di pensare che altre potrebbero essere le cause o meglio le concause d’insorgenza di eventi avversi nei portatori di PFO. Ogni situazione deve essere esaminata in un contesto generale ed ambientale. In Italia la tutela della salute negli atleti di qualsiasi età è disciplinata da una legislazione che molti paesi ci invidiano. Considerando la riduzione delle risorse per la medicina scolastica e la scomparsa dell’attività di screening della medicina militare con l’abolizione della leva obbligatoria, la medicina  dello sport, grazie alla visita per la concessione dell’idoneità sportiva, rappresenta un baluardo fondamentale a fini preventivi. E’ augurabile che tutti coloro che praticano ad attività fisica, a qualsiasi livello, si sottopongano a  visita specialistica e che i Servizi di Medicina dello Sport siano dotati delle diagnostiche per un secondo livello cardiologico ”.

Intervista a cura di Riccardo Guglielmi tratta dall’edizione n.3 del  Bollettino Telematico dell’A.N.C.E

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